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      Il preludietto, l'aria di Suzel nel 1º atto, quasi tutto il 2º atto, la magnifica romanza «all'amore» di Fritz nel terzo atto e, pure nel terzo, il duo di Fritz con Suzel, meraviglioso per passione e forza drammatica, son tutti pezzi degni di stare accanto alle più belle ispirazioni della Cavalleria. Ma il pezzo che supera e abbuia tutta l'opera e che è tra le cose migliori del Mascagni, sebbene inutile rispetto all'opera in cui lo troviamo, è l'intermezzo. Consistente come quello della Cavalleria in una larga aria per violini incastonata tra accordi preludianti e accordi concludenti orchestrali, questo intermezzo esprime, quanto difficilmente la musica del Mascagni ha poi saputo ancora esprimerlo, la calda natura sensuale dell'autore. A quei critici a cui non piaccia e che non sentano in esso che un volgare raddoppio di violini, io non so fare altro che consigliare di essere inesauribili nelle loro esperienze di vita e d'arte, e di pensare che anche questa sensualità espansiva e sana, in cui par sentire «gorgogliar rosse le scaturigini della vita», è cosa troppo italiana, troppo popolare, troppo giovane, perchè si possa spiegare... a chi non l'ha provata nè sospettata, e a chi non ha dell'Italia che una concezione retorico-nietzschiana. Ma chi ha conosciuto la semplicità della vita italiana lungo i litorali luminosi, nelle campagne armoniose di venti leggeri e di squilli di merli; chi ha penetrato il fascino carnale dei dialetti di certe sue città meridionali, dialetti che nelle loro movenze sembrano musica di Mascagni o di Bellini; chi dell'Italia sa tutto questo e ha intravisto (sorridendo dell'avvicinamento mostruoso) quanta parentela corra tra la più fresca e schietta poesia di un Gabriele D'Annunzio (Canto novo, III libro delle Laudi) e le dolci liriche di un Salvatore di Giacomo, e ha sospettato che le loro parole vivide di meridionalità sono intagliate nella stessa materia psichica di questi buoni musicisti italiani, che sembrano averci al posto dell'anima.


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Pietro Mascagni
di Giannotto Bastianelli
Ricciardi Napoli
1910 pagine 103

   





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