Vi sono casi, e il Ratcliff mascagnano è uno di questi, nei quali il compositore ha realmente visto qualcosa di vivo nel soggetto preso a trattare, ma è stato, per dir così, insofferente della forma impostagli dal libretto e ha composto qualcosa di formalmente diverso dalla ineffettuata attuazione dello schema dato dal libretto, anzi ha creato un organismo del tutto indipendente da questo schema. Chiunque infatti ascolti il Ratcliff a teatro, si accorgerà con meraviglia come da tutto il mare plumbeo dello spartito emergano e s'imprimano indelebili nella memoria alcuni pezzi, mentre di tutto il resto dell'opera non rimane in mente che una fluttuazione informe di recitativi e di fragori orchestrali. La ragione di ciò sta proprio in questo: che il vero Ratcliff di Mascagni consiste soltanto di quei pochi pezzi, è tutto in quei pochi pezzi. Sono essi, cioè, che ci danno l'immagine schiettamente romantica e per nulla umoristica che di questa strana storia s'è formato il maestro; sono essi che hanno diritto di chiamarsi una delle più ispirate cose del Mascagni; sono essi finalmente che la critica deve estrarre dall'inutile materia sonora in cui sono immersi e sperduti, onde render loro la giusta fisonomia.
Non sarà male, per spiegarmi meglio, illustrare l'esempio già citato del Vascello Fantasma. Chi conosce davvero quest'opera (ossia chi l'ha ripensata criticamente) non stenterà molto a convenire con me esser l'ouverture dell'opera e la ballata di Senta due pezzi bastanti da soli a esprimere tutta la leggenda bellissima del maledetto navigatore condannato in eterno a scorrere i mari del nord sul vascello misterioso.
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