Nell'esecuzione dei pezzi staccati che io consiglio, questo pezzo interromperebbe graziosamente il tono grave dell'intermezzo e del racconto. Nè stonerebbe, giacchè il carattere fresco, ma pur sempre misterioso di questa musica di danza, si ricollegherebbe bene con il carattere misterioso della leggenda ratcliffiana.
Però, a dire che dopo questo preludietto, la suite di cui è dimostrata l'esistenza, sia proseguita nel quart'atto, sarebbe farsi troppo schiavi d'una teoria a danno della realtà. La suite si rompe, per verità, e il cattivo melodramma spegne nel compositore qualunque spunto di sincerità. Il quart'atto del Ratcliff, se se n'eccettua la ripetizione del primo preludio a cui è adattata l'esplicazione verbale dell'antefatto a tutto il dramma, è ammorbato dalla solita autoretorica così comune nel Mascagni. Anche il duetto tra Guglielmo e Maria è sforzato, inconcludente, anzi addirittura assorbito in altra e ben più bella concezione mascagnana, di cui non è un'eco, sibbene un primo abbozzo, come, a quel che ho sentito dire, è avvenuto di altri pezzi dell'opera; il duetto, cioè, tra Turiddu e Santuzza. Dunque, mi potrebbe obbiettare qualche malizioso, tutta la vostra teoria sul Ratcliff non diviene forse oziosa, se la suite o poema, che voi dite essere il nucleo di quest'opera, non è neppur compiuto? Niente affatto. La critica, intorno a questo spartito, che molti credono il capolavoro del maestro, non può far altro che dimostrare qual sia la sua vera vita, anche ad onta che tale suo modo di vita appaia qua e là interrotto da lacune, le quali spetterebbe al Mascagni, reso cosciente del suo lavoro, di riempire – dato e ammesso che gli artisti fossero così malleabili, da lasciarsi consigliare dalla critica – cosa che non fanno quasi mai e che, se ci pensi bene, è forse impossibile che riescano a fare.
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