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      Questa minima ambizione raffaelliana – mi si perdoni, ma io scrivo quest'aggettivo contrapponendolo mentalmente a michelangiolesca – era quella per cui si tributavano maggiori lodi, per es., al Rossini; ma, se in un certo senso è vero che sopra innumeri soggetti il Rossini e il Mascagni trovan sempre qualcosa da dire, bisogna però vedere se questo qualcosa è detto ad hoc, o non è piuttosto un'improvvisazione simile, in parte, a un sonetto a rime obbligate.
      Ora al punto in cui siam giunti del nostro studio, ci è lecito stabilire, contemplando la serie dei soggetti, già noti a noi, che hanno fornito al Mascagni l'occasione di cantare il più possibile, sotto un nuovo aspetto il limite dell'ingegno mascagnano. Noi non possiamo in fondo in fondo creder molto al romanticismo mascagnano per le stesse ragioni, anzi accresciute, per le quali abbiamo dubitato del verismo mascagnano. A una sola condizione noi vi potremmo credere, se l'abbandono del verismo per il suo mortale nemico il romanticismo, fosse stato causato da un pieno riconoscimento delle manchevolezze del verismo rispetto ai bisogni spirituali del Mascagni. Ma, in realtà, questa crisi potente e violenta nel maestro non è affatto avvenuta. Come già dimostrai l'indifferenza e forse l'incoscienza assoluta dello spirito del maestro verso il valore veristico della Cavalleria, così non ci vorrebbe molto a dimostrare una non meno incosciente indifferenza dell'interpretazione romantica della vita contenuta nella leggenda ratcliffiana.


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Pietro Mascagni
di Giannotto Bastianelli
Ricciardi Napoli
1910 pagine 103

   





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