Al soggetto sconciamente realistico del Silvano, segue con un nuovo sbalzo, un soggetto di squisita poesia: Zanetto o «Le passant» di F. Coppée. La dolce e intima scena che ne forma il contenuto a dir vero non era molto consona alla natura esteriore del Mascagni. Occorreva prima di tutto un librettista che non sbertucciasse il delizioso episodio con versi che non significano nulla – Cuore, c'è il dolore, tra il profumo e lo splendore – , e in secondo luogo occorreva un musicista di arte molto più evoluta e sinuosa di quello che non sia l'ingenuo e rozzo linguaggio mascagnano. Certo, se confrontiamo lo Zanetto al Silvano, ci accorgiamo subito che il fascino sentimentale del soggetto ha suscitato qualche fantasma vero nella inerte immaginazione del maestro. Il preludio, sebbene così poco intonato alla signorilità umoristica che dovrebbe avere un madrigale sussurrato in lontananza – siamo nel Rinascimento, a Firenze – ; la canzone di Zanetto sebbene così poco elegantemente trovadorica; l'appassionata e bell'aria «non andar da Silvia», sebbene anch'essa troppo plebea per sgorgare dall'anima d'una grande cortigiana fiorentina; sono brani di musica che invano si cercherebbe nel Silvano. Ma nel complesso l'opera è viziosa; il recitativo ne è povero, convenzionale, spesso pesante. Si aggiunga, a momenti, un cantabile indegno della penna d'uno scrittorucolo di romanze a base di sentimentalità da Scena illustrata. So che lo Zanetto ha esercitato un certo fascino sugli studenti intellettuali del tempo.
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