Chè già dei giovani e forti critici attingevano dal pensiero di un nuovo filosofo di pura tradizione italiano-alemanna, la piena coscienza dell'errore simbolistico e del falso pensiero che tale errore sceglieva per tramite di manifestazione. Ma figuriamoci se questo stato di cose lo poteva neppur sospettare – un musicista!
L'Iris, dunque, si apre simbolisticamente con un fragoroso inno al Sole. Esso è ispirato e retorico al tempo stesso. Retorico già ho detto perchè; ispirato, perchè nonostante la odiosa teatralità wagneriana del tema dell'aurora e del finale mefistofeliano, il motivo dei primi albori, e quindi il corale del sole è pieno di movimento e di fuoco. Mascagni, giunto alla virilità, ha ritrovato l'empito sano della sua bella melodia, di quella melodia chiara, docile, calda come il sole. E infatti qualcosa del sole, e non del freddo sole simbolico, ma del nostro bel sole tirreno che imbionda le nostre larghe città ondeggianti di bandiere sulle spiagge, nel mare, nelle pianure verdi, nelle pieghe delle montagne boschive, è in questo ampio canto melodioso e ben ritmato.
Cessati gli ultimi fragori orchestrali una timida melodia c'introduce nel minuscolo giardinetto d'Iris. È una serena mattina... giapponese? – no, italiana. I fiori devono avere un profumo così sano da mettere appetito. Lasciamo che Iris giovinetta folleggi con la sua bambola; facendo ciò, ella è leziosa come il nipponismo illichiano. Ecco Osaka e Kyoto che fanno un delizioso duettino. Osaka canta le lodi della propria voce in versi boursouflés e con una adorabile melodia scapigliata.
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