Ma la sorpresa più affascinante è l'entrata delle mousmè – lavandaie. Oh! l'incantevole freschezza di questo coretto, a cui s'unisce la gaia voce mattutina di Iris che annaffia i suoi fiori e la monotona voce del cieco che prega! Veramente questa musica semplice, senza le smanie impressionistico – descrittive dello Strauss e del Debussy, è tutta, per virtù di miracolo, sapida di geranio e di cedrina bagnati, di borracina mèzza; una gioia agreste si spande per le sue modulazioni leggere, ed essa è fresca e scorrevole come le innumerevoli stille d'acqua che spillano dall'annaffiatoio d'Iris. L'errore della musica descrittiva in generale sta in ciò che in essa si tenta di cogliere volontariamente e quindi arbitrariamente alcune impressioni, la cui vera vita musicale non potrebbe essere altra che una sintesi spontanea di esse e, cioè, una vera trasformazione spirituale della sensazione materiale. Peccato che sulla fine del pezzo il tumido simbolismo dell'inno al sole rispunti guastando con la sua volgare convenzionalità tanta freschezza e semplicità!
Un suono curioso annuncia su di un ritmo saltellante la venuta del teatrino. Questa nuova scena, a dire il vero sempre sprizzante di trovate fantasiose, non è bella come la precedente. Vi sono anzi episodi triviali, come quello del dialogo del padre e della figlia da commedia e dell'ascensione al nirvana di costei: si trova in ispecie nell'episodio del nirvana un wagnerismo di seconda mano che non significa nulla. È al contrario bellissima la romanza di Ior.
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