Si tratta insomma d'una resurrezione delle gaie e graziose maschere italiane fatta a orecchio, dilettantescamente: anzi in alcuni punti suggerisce l'immagine che i dilettanti, i quali composero quest'opera buffa voluminosissima, non fossero altri che degli studenti o dei collegiali che, rubacchiando qua e là versi e motivi, avessero formato un buffonesco pasticcio per qualche rappresentazione di beneficenza nel teatrino del collegio o in qualche teatro ceduto gentilmente per l'occasione.
La questione è che Pietro Mascagni ha, come ormai deve apparir chiaro da quanto è scritto fin qui, un'italianità affatto spontanea. Egli non ci può dare un'opera di reazione ai nuovi e strani eroi immigrati dall'estero nell'arte italiana, in quanto che anche di fronte a questi nuovi e strani eroi – Iris, Amica, Ratcliff etc. – egli è rimasto indifferente, anzi assolutamente italiano; sicchè essi, i nuovi e strani eroi, metamorfosati dalla sua musica, acquistarono in grazia del Mascagni stesso pieno, sebben discutibile, diritto di cittadinanza italiana. Per correggere un difetto bisogna, anzitutto, averne intera e lucida coscienza. E il Mascagni ha tanta poca coscienza della initalianità di certi suoi personaggi, che, ripeto, aveva fatto come Verdi, aveva chiamato quasi tutti i suoi eroi dall'estero, se non addirittura dall'Estremo Oriente.
A Giosue Carducci, per ridestare la morta poesia italiana non malata a dir vero di troppo amore per la grande poesia d'oltr'alpe, ma se mai distrutta da una specie di vizio solitario per furor di se stessa, era bisognata un'intera vita di dignitoso dolore, onde finalmente riacquistar piena coscienza e dell'errore dell'ambiente letterario in cui egli viveva, e dei mezzi necessari alla sua nuova grand'arte italica.
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