Dai Juvenilia alle ultime odi è tutta una serie ascensionale di tentativi più o meno felici che l'Omero dell'Italia risorta dovette fare per svincolarsi dalla retorica e salire alla gran luce paterna di Virgilio e di Dante. Finchè nelle Odi barbare, nel cui titolo appare il solito dignitoso dubbio di non esser riuscito a riconquistare la pura italianità per tanti anni cercata, ecco che Giosuè Carducci, trasfigurato come un profeta, può intonare sicuro il nuovo Carme secolare, l'ode Nell'annuale della fondazione di Roma.
Ora qual'ansia di ritornare alle più schiette sorgive italiane, all'italianità non melodrammatica, vana e retorica, come la letteratura da cui il Carducci seppe liberarsi integrandola nel suo immenso mondo poetico-storico, ma sacra come la pace bronzea dei grandi miti romani, nobilita l'opera del Mascagni? Egli nè ebbe fin dall'inizio del suo cammino, nè ritrovò cammin facendo, l'ideale d'un arte austeramente italiana, per cui dovesse combattere le forme ibride, ed aspirasse al ritorno d'una grandezza italica nella musica forse mai come nella poesia e nelle arti plastiche esistita, ma soltanto per un momento desiderata e cercata. Eppure la italianità del Mascagni io stesso mi sono adoprato a dimostrare, nonchè a cercare di rendere più tersa e più ammirevole. Ma nel risolvimento di questa apparente contradizione io trovo una conferma della natura popolaresca del Mascagni. Italiano è egli, anzi italiano più d'ogni altro compositore nostrano in questo momento. Ma la sua è italianità irriflessa, incosciente, e quindi incapace per la sua incoscienza stessa di trarre dall'ambiente l'urto necessario onde trovare sicuramente le grandi vie che riconducono alle culle della nostra razza e al genio che ad esse presiede.
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