RIPROVE E CONCLUSIONI.
L'ORCHESTRATORE.
Non è ancor stata fatta, se non parzialmente e con intenti per lo più erronei, una storia dell'orchestrazione dalle origini alla presente fortuna, che, nel concepimento della musica europea, ha l'uso dei multipli colori strumentali. Ed essa potrebbe farsi, e sarebbe utile, ad un sol patto: di non fare un'astratta storia naturalistica delle varie tecniche orchestrali quali sembrano essersi svolte nel tempo; sibbene tenendo dinanzi alla coscienza, che svellere l'atto dell'orchestrare dall'interezza dell'atto creativo torna a mutilare intellettualisticamente l'unità totale dell'atto creativo; onde unica storia dell'orchestrazione potrebbe esser quella, in cui proiettassimo continuamente sulla serie degli elementi astratti da noi ammassati in ordine cronologico le luci delle individualità or massime or grandi or mediocri. Per spiegarmi meglio citerò la possibile storia della versificazione italiana, storia nella quale andrebbe dimostrato – come nel 200-300 il verso italiano ebbe agilità acerba e spontanea perfezione non più di poi raggiunte, essendo allora immediata e primitiva davanti alla natura l'anima dei poeti grandi e dei popolari – come col Petrarca e col Boccaccio incominciano i preludi dell'umanismo e i sintomi dello sfiorire del giovanissimo verso italiano mancando nei poeti al Petrarca posteriori «l'insuperabile pregio dei poeti primitivi che deriva dall'aver essi fortemente sentito e trasmesso ne' versi l'effetto prodotto nella lor fantasia dallo spettacolo della natura», ed accadendo, al contrario, che quei poeti postpetrarcheschi (eccettuato, a suo modo, l'Ariosto), «pigliarono per modello non la natura, sibbene i primitivi esemplari, sui quali le osservazioni dei filosofi stabilirono certe regole, e gli artefici si obbligarono di seguirle.
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Petrarca Boccaccio Petrarca Ariosto
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