Esemplare di questa seconda categoria può prendersi la parte falsa dell'opera d'annunziana e tutta l'opera dello Strauss. Ecco perchè al sereno spettatore moderno dei fenomeni estetici europei balenano spesso i più meravigliosi errori contradittori di giudizio che si possano sognare. C'è chi vede in Debussy un prodigioso rifiorimento d'ingenuità e di semplicità intima, e non s'accorge, malato del male comune, quanto suoni falsa e spasmodica tale presunta freschezza e semplicità. Altri invece scorgerà in Debussy un sorriso ambiguo di femmina logorata dal vizio, e pronuncia a suo modo un giudizio giustissimo. Di Riccardo Strauss c'è chi giura trattarsi di una vitalità superba, multiforme, superiore anche alla irruente vitalità wagneriana – anche questo giudizio è parzialmente vero. Ma ci sarà altri che invece troverà nello Strauss un ammasso vuoto e frigido sebbene assordante di polifonie confuse di armonie pazzesche.
La ragione di questa parallela duplicità di giudizii sta nel fatto che ho sopradetto. L'arte di costoro è più un eccitante o un calmante che una vera contemplazione o sintesi estetica delle proprie emozioni, anzi, come tutti gli stimolanti è composta per lo più ad artificio, è l'innaturalezza di ciò che serve a continuare e a intensificare uno stato patologico.
Non rechi quindi troppo stupore a quei pochi che saranno in grado di capirmi senza bigottismi e senza dispregi fuor di luogo, se io oso parlare di un Pietro Mascagni e più, di studiarlo con amore, rilevandone in mezzo alle difettosità, alle sciatterie e alle contaminazioni estranee, i brani di buona e bella naturalezza e vera ingenuità. Se nelle opere dei reputati maggiori c'è oggi meno che la vita, nel nostro buon Mascagni, c'è veramente della vita quell'inimitabile baleno, quel divino risopianto che ci trasporta nelle opere di un Mozart e di un Beethoven.
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