Erano i tempi della nostra Vita Nuova.
Con questo titolo uscì nel 1876 a Milano un giornale letterario sostenuto in parte dai raminghi scrittori dell'antica Palestra letteraria e da altri nuovi venuti. Furono e l'uno e l'altro due bagliori, più che due fuochi, ma a quella vampa molti giovani si conobbero a tempo, molte volontà si sgranchirono, molti ingegni si accesero. Poi venne la vita vera per alcuni, l'oblìo per altri, la morte per i migliori.
Fu in quell'anno ch'io conobbi Ambrogio Bazzero, il primo dei nostri morti,
Non molto alto di persona, di capelli rari per grave malattia sofferta qualche anno prima; con bei baffi rossicci, di fattezze regolari, parlava con una voce chiara, ora argutamente, ora in tono di profonda tristezza. Mobile, nervoso, fuggevole, caro, fu il più attivo, il più ordinato, il più candido di quella babilonia che si diceva per burla Amministrazione della Vita Nuova.
Il Bazzero era nato il 15 ottobre 1851 a Milano, da una ricca famiglia. L'essere ricco non nocque a lui, come nuoce a molti che la troppa fortuna confonde e stanca, perchè il denaro non gl'impedì mai di studiare e di fare del gran bene alla povera gente.
Fin da fanciullo, dice un santo libricciuolo che mi fu dato di consultare, Ambrogio mostrò animo così pietoso, che non osava far male a una formica. D'inverno spargeva miglio e briciole di pane sul davanzale della finestra e godeva a vedere gli uccelli che venivano confidenti a mangiare. Era così semplice ne' suoi gusti che un fiore, un frutto, un bambino, un cagnolino rapivano subito la sua attenzione e bastavano a consolarlo e a rallegrarlo
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