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      Questa semplicità di gusto egli conservò sempre, e passeggiando con lui, era curioso il vedere come egli sapesse rilevare il bello e il grottesco nelle cose più comuni, nel saltellare elastico d'un passerotto sull'erba, o nel subito atteggiarsi d'un gatto, o nei ghirigori d'un'inferriata, o nella frase volante d'un vetturale, o in un proverbio di contadini, dei quali sapeva ingegnosamente imitare la cadenza e i fiori del linguaggio.
      Dopo il Liceo, in cui fu suo caro maestro Leopoldo Marenco, studiò legge privatamente, cosa di cui si lamentava sempre per non aver potuto apprendere nel libero consorzio universitario la scienza della vita e una maggiore sicurezza di sè stesso. E veramente in lui a trent'anni tremava ancora il fanciullo.
      Il pensiero era libero e audace, ma la volontà paurosa. Di questo squilibrio di forze, fra l'occhio che vede e la mano che non osa, egli si querelava spesso con me durante il nostro viaggio di piacere a Firenze e a Venezia, e spesso ne piange anche in questo libro, che è la storia dell'anima sua. Più che i codici amava le sue armi antiche di cui aveva in casa una ricca collezione, i suoi elmi, le sue spade rugginose, le celate, gli stocchi, gli archibugi a ruota. Nè minore era il suo entusiasmo per ogni altra sorta d'anticaglia, mobili, stipi, poltrone, inferriate, tappeti, e non già per moda, come usarono poi molti dei nostri ricchi, ma per il sentimento che gli faceva credere d'abbracciare in quelle cose lo spirito di più generazioni. Alle anime generose è poca soltanto una vita.


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Storia di un'anima
di Ambrogio Bazzero
Fratelli Treves Milano
1885 pagine 355

   





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