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      158). La lingua, come sentite, si ripiega sotto l'urto dell'impressione e scattano fuori delle arditezze felici che piacquero di poi in libri meno significanti. Si avrebbe torto di volere in una prosa comune ciò che scoppia continuamente con impeto lirico, ciò che divaga nei mille capricci dell'ora, dell'estasi, della tristezza, dell'umorismo e si perde nelle azzurre profondità di una filosofia panteistica. Aprite il libro e leggete subito, per farvi un'idea dell'uomo, il bozzetto Sera a pag. 184. Se vi pare che due dei nostri trecento lirici classici abbiano più profondamente sentito il dolore di un tramonto, e lo spasimo voluttuoso di quel dondolarsi a fior d'acqua e di quello spandersi dall'anima sui colmi dell'onda, di quel vanare nell'infinito, dite pure che il Bazzero è un poeta inutile di più. Per me, apro il mio cuore, certi tratti conservano ancora dopo tanti anni una freschezza che molte lodate liriche di quel tempo hanno perduto da un pezzo: e rileggendo gli ultimi acquerelli, Àncora, Stelle cadenti, Barcanera, ecc., non so perchè mi risuoni nell'anima qualche accento dell'Heine, e a volte dello Sterne, senza essere nè dell'uno nè dell'altro.
      Non c'è imitazione, ma forse anche il Bazzero derivava da una fonte comune, che ha le sue scaturigini in un'elevata coscienza della nostra pochezza in faccia all'universo.
      Il pessimismo, che fa tanto desiderare al Bazzero la morte e il riposo sottoterra, non è come la rigida convinzione leopardiana un precetto sterile, ma è un dolore che cerca riposo disciogliendosi.


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Storia di un'anima
di Ambrogio Bazzero
Fratelli Treves Milano
1885 pagine 355

   





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