Molti giovani amici, spiriti indipendenti, deploravano e deridevano costui che andava a servire un partito, o come si dice dai furbi, a compromettersi; qualche giornaluccio avversario gli lanciò sul viso le solite impertinenze.
Egli se ne turbò, soffrì, come soffriva sempre atrocemente delle grandi e delle piccole cose, ma rimase al suo posto. Era meno furbo e più coraggioso.
Della nostra Congregazione di carità non fu un comune patrono, ma un santo e zelante operaio.
Vi passava le più belle ore della giornata, e nominato visitatore dei poveri, andava per le case dei più miserabili a studiarne i dolori con quell'indulgenza che perdona anche gl'inganni. A me raccontava poi le sue tristi impressioni e lo stringimento del cuore che provava nel discendere certe scale. Fu dei promotori delle Cucine economiche, dove rimase tutto un inverno a distribuire le minestre, alacre, arguto fra i poverelli, che cominciavano a distinguere il signor Bazzero fra i cento che compiono il loro bene con solennità. Nè meno caro divenne agli Artisti della Società Patriottica. Prendeva allegra parte alle loro feste, schizzava con tratti rapidi e sicuri armi antiche, con una conoscenza di cose unicamente sua, con tanto gusto che il Pagliano e altri lo consigliarono a pubblicare un album in zincotipia, che è ancora molto apprezzato negli studi dei pittori.
Alla pittura ebbe sempre genio, sebbene non vi si dedicasse di proposito. Amò fin da fanciullo delineare tramonti coloriti, navicelle perdute nelle burrasche, boscaglie cupe tormentate dai venti.
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