A tutti costoro mancò forse una ricca suppellettile accademica, ma tutti amarono l'arte con geniale sfrenatezza; la vita uccise i migliori.
D'Ambrogio Bazzero non vorrei che l'antica devozione mi avesse tratto a dire cosa maggiore del vero. Che se a chi lo conobbe e a chi lo conoscerà fra poco dovesse sembrare il mio giudizio troppo infiammato, io non mi pentirò d'aver consumato il mio fuoco a riscaldare questa cenere benedetta. Da due anni il povero Bazzero giace sotterra, e più che da due anni giacevano rinchiuse e morte le ignorate pagine dell'anima sua. Non si risuscita un morto senza un gran grido.
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Il tifo che l'aveva già colpito nel 1873, lo assalì una seconda volta ai primi dell'agosto del 1882. Fu una malattia rapida, senza pietà, che il fratello Carlo descrisse in una potente Commemorazione che ha scosso ogni cuore. L'anima di Ambrogio aiutò a dettare quelle pagine così vere e così tremende che narrano un fatto tanto comune, il morire. Così termina quello scritto:
Era la mattina di lunedì 7 agosto, il giorno che egli aveva stabilito per la partenza pel suo giro di svago.
Alle 9 e 45 l'infermiera, fatto il segno di croce, cominciò a pregare a suffragio dell'anima.
Il suo volto rimase atteggiato ad un dolore sdegnoso, le labbra sottili strette, l'occhio semi-aperto, io spirito malinconico abbandonò la terra, lasciando sul volto i segni dell'angoscia, supremo addio alla luce; si dileguò addolorato così come s'era sempre pasciuto di segreto corruccio e di desolazioni.
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