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      - La capanna che desideravo si apriva, e la villana, che sedeva sul covone, cantava allegra allegra, riacconciando il grembialino del figlio morto pel figlio che le nascerà...
      E così sognavo, sognavo. Al mio occhio scappavano i pratelli, scappavano i vigneti e i colti e i monti rapidissimamente.
      Un treno che passò sul binario vicino, squarciando l'aria come una negra meteora, mi fece ritirare la zucca dalla mia finestrella. Dov'ero? Ah! nel vagone. Con buonissima volontà rifrugai nella mia sacca, presi il foglio della descrizione, roba rubata, e volli cercare un rifugio alle fantasmagorìe che mi rendevano il capo leggiero, come una bolla di sapone, vuoto e iridescente: feci forza per leggere, e lessi.
      Due ore dopo, alla mia destra, al di là di un paese coi tetti di lavagna e le torri delle fucine fumanti come la gola di Vulcano, - io vidi il mare! Che contemplazione fu la mia! Il mare!
      Era di un azzurro intensissimo: si confondeva all'orizzonte con una zona lucente: finiva alla spiaggia colla catena mutabile delle onde, che si gonfiavano colle loro crespe spumanti, piene di guizzi, di luce....
      È impossibile ch'io descriva quel primo amore che mi trasse all'infinito facendomi rigurgitare l'anima in petto, spandendo il mio desiderio nei liberissimi cieli!
      Quando raccolsi la cartaccia da notaro che m'era caduta di mano, e quando la riposi in fondo alla sacca, proprio in fondo trovai il mio albo sfogliato, quattro sbiaditi colori d'acquerello, due pennelli arruffati.
      Sulla quale carta, coi quali colori, coi quali peli avevo intenzione di buttar giù qualche poverissimo acquerello.


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Storia di un'anima
di Ambrogio Bazzero
Fratelli Treves Milano
1885 pagine 355

   





Vulcano