OMNIBUS.
Sobborgo di Genova.
Filatere interminate di vagoni, ruote scorrenti nel polverio nero, carichi immani, locomotive tozzotte dal fischio che pare lamento di fatica, io vi saluto. Luccicate al cielo, rumoreggiate sotto le gallerie, scuotendo le ossa fossili dei primi uomini, portate ricchezza, col vostro strido destate il fiat della vita, e col fumo mandate l'incenso santissimo, l'incenso del lavoro. Passate e passate.
Dove me ne vado io?
L'agenzia degli omnibus da Genova per la riviera mi pare posta innanzi a una bottega da parrucchiere. È cosa sicura: lì, su un piazzaletto vi sono e carrozzoni e bestie e mulattieri, un subbisso d'affaracci. Mi ci incammino. Chi può dire com'io abbia le orecchie straziate! - Sciü, sciä ven? Sciü, sciä, ven? - -Chi vuol condurmi qua, là, lontano, vicino, più oltre, sulla strada, a pochi passi, alla casa. Ma no, no, no! Voglio andare a Sestri Ponente!
Nella bottega, Balilla, l'impresario coiffeur, in maniche di camicia, ti rade il baffo destro, o marinaio, ed esce a dare la pietanza alle rozze; ti rade il sinistro e scappa fuori ad ungere le ruote all'omnibus: ti lascia, e sei tutto pelato, coll'unico pizzo genovese, sotto il labbro inferiore. Oh che figura! E intanto passano sul tuo volto insaponato ombre di code irrequiete per le mosche, ombre di camiciotti svolazzanti all'aria della marina, ombre di ruote, e lustri.... di fanali e di ottoni? Oibò: lustri d'occhi. O genovesine bellocce, per amore dei vostri occhi desiosissimi, vi prego d'una cosa: date un buffetto al damo quando vi compare innanzi col solo pizzo, e dite che i bersaglieri lombardi hanno i baffi audaci alla Manara.
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