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      Via! di codesta donna marchesaccia siamo stufi. C'è una bella scapigliata, con grand'occhi acuti, senza rimario sotto le ascelle, senza svolazletti, la penna d'oca e l'elmo di Minerva, c'è una giovinetta che s'asside anche all'ombra delle vele, viaggia coi marinai e mangia il pane duro, conta i soldi e canta Dio e il mare. È la vera poesia. E Natura, diffondendola in ogni atomo delle cose create, non le disse mai: - Sarai aristocratica: sarai democratica, - ma le impose: - Non mentirai!
      Voglio conoscere la potenza di Genova? Vado a gustare la grandiosa poesia del suo Porto.
      Il molo vecchio costrutto da Marino Boccanegra nei faustissimi giorni del Comune, il nuovo d'Ansaldo di Masi, la Lanterna su cui si accesero i primi lumi nel 1316, il robusto emporio del Portofranco, i porti di sbarco, gli argini, vorrebbero ancora dieci trombe di cintrago che li proclamasse ai regni dei voli lirici, o meglio dieci portavoci di capitani che rivelassero a questo bassissimo mondo quante doble hanno fruttato, e quanti futuri dii frutteranno. Sull'immenso sfondo verdognolo azzurro nereggiano gli scafi snelli dei mille bastimenti: e sugli scafi s'inclinano i bompressi, si drizzano i bassi alberi, gli alberi di gabbia, quelli di pappafico e l'aste: le sartie s'appoggiano alle gabbie, i pennoni recano il velame arrotolato, e le corde, le puleggie delle manovre dormenti e delle correnti formano gli apparecchi altissimi dei lucrosi saltimbanchi del mare. Anch'io userò il vecchio paragone: il porto è tutto una selva nella quale i venti vogliono i loro giochetti, ed ecco le vele triangolari, le quadre, quelle che tornarono sbrandellate, il fumo dei tubi ritorti, e i tubi sbiecati.


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Storia di un'anima
di Ambrogio Bazzero
Fratelli Treves Milano
1885 pagine 355

   





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