E se ancora passate, passate, passate, metteteci un po' di garbo ad avvisare le signorine: e del resto, buonissimo viaggio!
L'OSTERIA.
E l'osteria di solito è posta al canto della via principale e di un tragetto: quella fornisce i bevitori mulattieri che si assetano sulla strada da Savona a Genova; questo che fra due murelli d'orti va al mare, dà i pescatori e i lavoranti del cantiere. L'insegna è dipinta d'azzurro, e non c'è nome d'oste o di vedova che lì non s'abbia il suo battesimo popolare. Chi entra deve guardarsi dalla focaccia gialla-unticcia, che odora su un gran piatto di peltro, e dal barile sgocciolante, ritto in piedi, coperto di frasche di vite, e fatto tavolo a sette od otto mezzine di maiolica dipinta. Pareti a tutte tinte, dalle sudicie alle aerine, come le tavolozze dell'avvenire; pancone a gambe divaricate: sfondo di sale e sale a parate grigie di ragnatele. Chi amasse poi lo studio degli accessorii, vi trova la lampada di ottone coi quattro becchi, la statuina del Ballila, sul muro gli ultimi numeri estratti al lotto di Genova scarabocchiati a carbone, ai vetri le sfogliacce a tenda, alla soffitta negra e rognosa il finestruolo per spiare giù.
Nella strada cresce un remore di sonagli e di zampe e di ruote, cresce e poi s'arresta.... Ecco entra nell'osteria un mulattiere col camiciotto sudato, colla frusta in collo, colla destra mano che suffrega le labbra bruciate. L'oste non c'è. Il mulattiere leva la voce ed incomincia: - Per Dio Sacrrr....!
Il curato che passa davanti all'osteria guarda la bestiaccia (non dico il mulattiere), e fa il suo conto: - Un mulo come questo vale una parrocchia di montagna.
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