A tavola ti presento conti e contesse, marchesi e marchese, e cavalieri e ufficiali e commendatori: ti mostro abiti elegantissimi, pizzi, gioie e pettinature; ti faccio ascoltare discorsi in fiorentino aspirato, in ruvido piemontese, in italiano guasto da labbra milanesi, in rapido veneziano, in pretto genovese. Mescola tutto assieme: tra la vanità, la pompa, le chiacchiere, esce una sola risultante, data da madre natura: una fame impaziente. Ond'è che i medaglioni stemmati oscillano prosaicamente da un collo bianco su un piatto di zuppa, un panetto o una dozzina di grissini valgono un pizzo, da cento labbra fuggono le eleganti vacuità per dare adito alla forchetta. Signor medico cavaliere, evviva dunque la cara idropatica, che dà buon sapore alla cucina!
*
* *
Dopo pranzo c'è la sfilata all'ufficio della posta. Di loro, signori uomini, non mi occupo: parlo delle mie consorelle peccatrici di vanità. Vedo sottane in seta adorne di pieghettati in granadina, guarniture di ricami bianchi, corsetti a punta davanti e a baschina di dietro, fisciù in granadina, arricciature in tulle di Bruxelles, gonne con sbiechi di velluto, tuniche polacche, cappelli a veli svolazzanti, e via e via. In particolare poi ti cito la contessa B. di Torino, le due contesse R. e S. di Firenze, la marchesa S. di Piacenza, la contessa C. di Milano.
*
* *
Il terzo bagno non merita di essere nominato: e la cena si assomiglia al pranzo. Dunque sto zitta: e attendo la sera.
| |
Bruxelles Torino Firenze Piacenza Milano
|