Suona un altro campanaccio, e un altro, e un altro: è un concerto da festa. Vediamo l'intera mandra: il pastore su un'eminenza s'appoggia al bastone, come un cavaliere al lanciotto: le caprette colle gambe lanose e divaricate, sporgendo il collo, s'arrampicano sui tetti delle stalle o sui grandi basamenti dei macigni.... E canta il pastore: - L'America l'è granda - : muggono le vacche: e le caprette col tremulo belato fingono le cornamuse nasali...
È mezzogiorno. Dal colle si domina il portentoso anfiteatro dei monti: monti rocciosi a destra, a sinistra, giù la comba aperta che dà origine a una voragine profondissima, il principio di un'altra valle laterale che si perde Dio sa dove: in fondo, alta, vi è una cima dentata, dalle abbaglianti pezze di serico bianco che si spiegano e si stratagliano sui ghiacciai. È impossibile dire le tinte violastre dell'ombre lontane trasparentissime, su cui si fondono i larici, e impiccioliscono, e fanno selve bluastre e s'inerpicano sulle torri di fantastiche ruine. Il sole è grande colorista. Eccoci ai larici dal fusto eretto, dai rami cadenti, dalle foglie lucide di mille ispidi aghetti e flessuose ad ogni vento: eccoci ai coni crocchianti, all'erbe dei camosci, ai radiconi che disegnano informi spine dorsali di mostri, alle scalee ammucchiate dai giganti, ai ginepri tenacissimi. Il sole scalda l'acro odore delle cortecce. Qua, da un'insenatura umida e lucida come acciaio, un torrente sembra con cento braccia cadere aggrappandosi di picco in picco: là invece tranquillo, spiegato, maestoso, si abbandona giù come un velo di limatura d'argento: il rombo è il misterioso crescendo degli abissi: ogni dove con prorotto singhiozzo nelle tane scavate gorgogliano acque sotterranee.
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America Dio
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