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      Il passeggiare nei freschi corritoi mi sembra una occupazione da fraticelli vecchissimi: fra il toc-toc degli orologi a torricella, le gerle delle guide che sono andate alla chiesa o a succiare l'acqua della fontana, fra i busti dei benefattori, le lapidi degli insigni visitatori, leggiamo l'uffiziolo, quieti, strascicando le ciabatte larghe, cogli occhi imbrogliati dal sonno della pace, passandoci la mano grinzosa sulla testa pelata che luccica di riflessi d'avorio.... Ah che vita!... O fraticelli, non falliamo l'uscio delle cellette: elegantissime signore vengono all'Ospizio nei mesi d'estate e d'autunno, e vi rimangono nove giorni, lasciando al decimo sui mobili la cipria rosea, e nei cassettoni quei profumi nobilissimi, indizio ch'è passato un serpente: è vero, entrando in una camera così abbandonata di fresco si è persino rispettosi dinnanzi al grande disordine sparso da una piccola manina, e si soffre caramente un ignoto abbandono, e si ama la cipria e l'opoponax. Verrà la lercia fantesca, affagottata come una monaca, a spolverare i mobili colla scopa, a spargere il suo tanfo di sudore e di sacristia. D'altro non so dirvi, perchè non ho letto il libro del teologo Marocco: Rimembranze di un viaggio da Torino a Graglia. Dall'interna piazzuola sotto il giro degli alberi, dopo avere fatto un sonnellino ristoratore, colla pancia al sole e la testa all'ombrìa verde, ho dato uno sguardo alle poche cappelle che vanno su su al monte, abbrustolandosi al meriggio. Le statue in terra cotta del Tabacchetti non valevano due soli degli svolazzucci dorati che dal collo lanuginoso della nostra guida, la Main, scappavano sotto le trecce attorte della gentilissima testina.


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Storia di un'anima
di Ambrogio Bazzero
Fratelli Treves Milano
1885 pagine 355

   





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