Povera figliuola! Rammento la sua tinta bruna, gli occhi ingenui se guardavano, pudichi se erano guardati, il sorriso confidente dei sedici anni, e quel mento e quel collino da gran dama! Aveva il suo fazzoletto, la pezzuola, il corsetto, la gonna, il grembiale, tutto a modo, tutto per lei: due sole cose mi facevano compassione, le scarpacce e la gerla: quelle parvero dirmi: - Noi costiamo tanto e tanto! - e questa: - Ho portato delle colazioni, con molta roba di Dio, su alle cime pei gran signori che mangiano coi guanti: ma la mia povera padroncina all'inverno, quando mi colma di legna gelate e mi fa ballare gių,
gių gių, fino al Favaro, trova una minestra lunga e bianca bianca.... - Ah, signori miei, non mi commovo alla polenta ruvida, al latte coagulato, ai formaggi duri, anzi per me le considero come leccornie capricciose d'un giorno all'anno, ma la minestra che fa scaldare le mani attorno alle scodelle, che si mangia a cucchiaiate, che fa tanto bene allo stomaco, l'auguro saporita a tutti, massime alla povera gente! E in tutti i giorni dell'anno!... Quando la Main fosse stata sposa (e glie lo desideravo presto), mi pareva che un grande garofano dovesse su quei capegli spirare l'aperta allegria di un mattino di maggio, e lei, volgendo la testina all'insų a prendere ingordamente il sodo bacione di un bersagliere del Favaro, lei dovesse mostrare tutto il suo collo, candido di sotto, rispettato dal sole. Sė, Main, io ho amato le tue trecce bionde, lo ripeto ancora, attorte dietro la testina, e la medaglietta d'Oropa che si perdeva gių fra le modeste pieghe della tua camiciuola.
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Dio Favaro Main Favaro Main Oropa
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