E ti rammento Graglia perchè là eri lieta, sollazzevole, senza pensiero. Un dì forse racconterò la brutta istoria delle tue lagrime, io che le ho viste cadere sulle tue manine, come le prime gocce di un grande uragano. Non avevi mai pianto, povera capretta dei monti!
Sino da quando io ero alle prime scuole, fra i doveri morali e civili, che imparavo a sillabare, come tipo di un dovere sublime, mi giganteggiava innanzi la figura nera di un soldato, di cui mi pareva rammentarne l'uniforme, coi nastri alle bottoniere, la grande tracolla e la miccia bituminosa e fumante. Pietro Micca era giù nel sotterraneo, fra i barili di polvere: suonavano i picconi dei nemici sempre più vicino: crepitava la fiamma della miccia nel buio. Si udì uno di quei sospiri che fremono come l'aria del liberissimo mare, quando sembra sdegnoso di confini: la piccola fiamma - sicurissima - avvampò. Poi successe il caos che tuona, l'inferno che strugge, sbattendo le ruine al cielo, la tremenda ridda delle mille viscere squarciate e palpitanti, i rivi di sangue sulla terra abbrustolata e fessa, i cervelli oscenamente incollati e le ossa scheggiate. Torino è salva! i francesi distrutti! la rocca è saltata! Io leggevo e rileggevo quel racconto, e con me i piccolini sillabanti finivano a guardare il vecchio maestruccio che piangeva. Eravamo nel 1859: a chi è di già agghiacciato a certi entusiasmi valga qualcosa la data. È giunto il tempo in cui io ho potuto pellegrinare nel Biellese a visitare la casetta del martire minatore: ma il mio povero maestruccio ha finito di addentare mozziconi ultimissimi di sigari e giace sotto fra le quattr'assi: come l'ho ricordato!
| |
Graglia Micca Biellese Torino
|