TEA.
DA RECOARO.
(NOTE COL LAPIS.)
I.
5 agosto 1880.
Quando un mio amico, chimico-farmacista d'archiginnasio, mi tirò fuori da uno scaffale polveroso il librattolo di messer Giovanni Graziano bergamasco, professore di medicina a Padova, e me lo spalancò dinanzi, sì ch'io vi lessi Thermarum Patavinarum Examen, Patavi MDCCI, e quando mi citò le disquisizioni dell'Arduino, del Lorgna, del Mastino, io confesso che non mi vidi innanzi agli occhi (e come no?) altro che il conte Lelio Piovene da Vicenza, lo scopritore della fonte che ancora ne conserva il nome, e Fulgenzio e Domenico Griffani, usurpatori di essa; e il Serenissimo Principe, e i Provveditori, e i Pregadi, gli ufficiali della sanità pubblica, tutti riuniti in consiglio, una folla negra di parrucconi grigi, coi musi nascosti dai ricciolotti tiepoleschi, inferraiuolati, arcigni, incollarati, misteriosi. Mai, mai, mai non avrei sognato di vedere, nemmeno fuggitiva come un baleno, la faccia sorridente così gaia e la strettissima toletta bianco e nera di quella nostra signora milanese.... Amici miei, neppure le iniziali del nome vi dò: vorrei solo potervi dire il fascino di quelle linee elegantissime, il gusto di quella semplicità, l'audacia di quell'abito, che una signora mia conoscente dichiara il più bello e il più nuovo st'anno sin qui veduto a Recoaro. Il conte Lelio sullodato quand'ebbe scoperta l'acqua salutare, deve aver sorriso mestamente, pensando ai cento malanni della misera umanità, e deve aver sognato solo volti scialbi di montanari e di pastori, giù scendenti dalle Alpi Retiche, col melanconico brontolìo del rosario sulle labbra.
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