SANT'ANNA.
(Cannobio) 10 Agosto 1881.
Ecco, sbarco dal piroscafo, attraverso la piazza dell'imbarcadero vedo sì e no il nostro Conte Gilberto Borromeo, il nostro giovane letterato, l'E. B. e senza voler interrogare se c'è ancora sotto questo cielo quella gentilissima signora milanese, la L. C., dalle trecce nere, e quella bionda figlia di Genova la superba... (Niente! niente per ora!)... e senza voler sapere, dico, se i bagnanti alla Salute siano proprio oltre il centinaio, - salgo su pei viottoli del Cannobio... Al monte! al verde! all'azzurro! E la strada dopo i colatoi fra casetta e casetta, i portici semibui, le faccende delle botteghe, l'umida tenebria di un lavatoio e le spavalde accigliature di un torracchiotto, la strada esce fuori a sgranchirsi tutta al sole e a distendersi nella valle, qua ombriata da un profluvio di verde, là sciacquata quasi dai torrentelli colla sabbia argentina....
Passo dinnanzi allo stabilimento, dò un'occhiata alle muriccie su cui siedono cinque o sei giovanotti, ascolto un nome di un bell'astro, sbircio un lembo di paradiso fulgido e gaudente in gonnella e un mondo sciancato, sbillicante, riottoso al moto, e su e su e su... vado a sciogliere il voto alla mia Sant'Anna di Traffiume.
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Sono solo.
Ecco il paesaggio mi si allarga dinanzi. Monti a destra, monti a sinistra, monti di fondo. I frassini, i tigli, gli aceri verdeggiano in sinfonia sul davanti e si fondono cromicamente colle nebbie azzurriccie della valle Cannobina: alle falde, qualche striscia di sentierucolo nei colti, qualche bugigattolo nelle vigne, qualche tocco di rosso in una macchietta all'ombra d'una siepe: su nel folto del bosco, le linee taglienti delle strade alle valli.
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