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Rammentando che Luino fu patria dell'angelico Bernardino, lo stupendo pittore che effigiò le sante e gli angeli con sorrisi di cielo, andiamo al molo che serra le acque cupe: il lago flagella i dadi di pietra e il ripicchio si diguazza come stanco di battaglia. Per la via lunata, passati sotto un arco che mostra un poderoso leone di pietra, incontriamo una stradetta montana su un terrapieno: a sinistra il lago, a destra la montagna. È una stradetta non disagiata, non ricca, un tesoro pittoresco, a tratti s'inclina e quasi tocca la ghiaia, a tratto si solleva e mostra giù giù il lago coll'abbagliante luccicare tra i boschetti o col verde intensissimo lungo le coste profonde, o coll'irrequieto spumeggiare attorno agli scogli: più in là la massa azzurra si acquieta, e pare, per così dire, a zone smerigliate dai venti, in là ancora sorgono i castelli di Cannero solitarii, piangenti il romanticismo e l'oblìo: la sponda infine è deserta.
Qui dove passeggiamo noi il murello di riparo alla stradetta serpeggia o lumeggiato o smorto in ombra con toni trasparenti, e la montagna affolta boschi e boschetti e sprazza luci sulle zolle, e s'infosca nelle ripiegature delle falde: grotte, acque, fiori, pratelli stiacciati da cumuli di macigni... Oh i monti!
Il cittadino che li contempli in un attimo vi ha famigliari, e non c'è pendìo di vallicella ove non sogni d'essere stato già un'altra volta a piangere un dolore: non richiama una gioia definita, ma ricorda d'aver sorriso e spera di sorridere dall'alto di quella cima boscosa, da dove si deve vedere l'altro versante.
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Luino Bernardino Cannero
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