Queste cellette erano numerosissime: e chi coll'immaginazione sapesse tutte riedificarle, degradarle in squallida linea, colorirle tristamente, e fingere dalla porticella del coro la sfilata dei monaci salmodianti, quegli potrebbe a messer l'abate chiedere l'eterna pace. Si dorme tanto bene all'ombra dì tramontana, nelle abbazie dei cistercensi, fra il silenzio degli uomini e della natura! - In una celleita, Manfredo Archinto supplica Nostra Donna: in un'altra, una lucertola viva serpeggia sull'ala di una santa morta: in un'altra, san Bernardo, imprudentissimo, presenta al cielo la Guglielmina boema...
Nel secolo XIII, nella Lombardia, già infestata dalle sètte degli eretici, comparve la bella Guglielmina. Chi era? La dicevano la figlia di un re di Boemia. Con chi era? Con un bambino che le morì. Monaca, fuggita, amante: tantissime se ne dissero. Essa abitò a Milano, e fu di tale pietà, che i monaci di Chiaravalle e le Umiliate, e tutto il clero, e tutta la nobiltà pigliarono ad amarla, compreso un tale Andrea Saramita: e salì, e salì, la Guglielmina salì fino alla dignità sopranaturale: fu della quella che salverebbe giudei, saraceni e mali cristiani, fu detta papessa, santa, divina. Ma umana, morì, lasciando di voler essere sepolta a Chiaravalle.
Quivi giacque venerata, e ad onore di lei i monaci, in tre solennità annuali, distribuivano pane e vino. I discepoli rimasti, una Manfreda, il Saramita, Albertone da Novate, continuarono a celebrarne i misteri.
Nel giorno di Pasqua del 1299 la Manfreda indossò degli abili pontificali, e, costituita una gerarchia ecclesiastica femminile, cantò litanie, predicò, disse messa in casa di certo Jacobo da Ferno, con epistola letta da Albertone, con vangelo composto dal Saramita.
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