Ecco le finestre avvolte nei cartocci; le finestrette tonde con un contorno da maniglia o con davanti ciascuna un busto di Cesare romano; le mensole sbrodolanti il gesso dalle arselle; i cornicioni spezzati dalle curve e dalle volute di cento contrabassi; le inferriate gremite di viticci e di nodi e di fogliaccio; i pilastretti a gozzi aggrappantisi su alla gronda; le nicchie sgangherate colle statue delle virtù araldiche che somigliavano alle buone ciambellane di Filippo V di Borbone; e l'attico gibboso e tormentato sotto il peso di uno stemma in cui c'entravano quaranta maggioranze di Castiglia e di Leon.
E il povero rampichino, frugacchiando alle fredde fenditure delle imposte, si lamenta co' suoi zilli capricciosi che si perdono contro i vetrucci rotti, i piombi caduti, il vano oscuro della finestra.... È una formica morta assiderata due mesi fa, quando la strascinava una gran pula di frumento? È un vermiciattolo ch'era giunto la notte prima dalla peschiera a musaico alla pozzetta d'acqua fra due mattoni spezzati? Che cos'è? che cos'è che becca il rampichino?... Becca, si fa sottile, becca, s'appiatta e s'arruffa, becca, ficca la testa sotto ai bilichi, e trova un posto ove la soglia è corrosa dalle antiche pedate, ed entra nel buio.
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Oh come i morti s'obliano nello squallore, giù nei saloni del vasto appartamento! V'è una semiluce che piove solo dalle finestrette ad occhi di bue, dietro le schiene degli Augusti in pietra arenaria: v'è il silenzio che là là sembra ingoiarsi con un freddo da cantina per le porte spalancate: v'è un abbandono che scolora tutto cogli strati di polvere e di muffa, e che dà a tutto un aspetto di remoto, di sconfinato, di sepolto, colle tristi simmetrie dell'immobilità e del sonno.
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