Nel momento che stava per cogliere il frutto di sue lunghe meditazioni, l'avversità dei tempi e la malizia degli uomini, com'egli soleva dire, l'avevano forzato ad errare in triste esiglio abbandonando Milano, fuori delle cui porte non avea mai per l'addietro portato il piede. Siccome in questa città era stato conoscente della famiglia dei Medici, e precettore ben anco di Gian Giacomo nella sua puerizia, erasi nel proprio infortunio rivolto a lui chiedendo asilo, e questi l'aveva accolto e destinato a proprio Cancelliere, magistrato delle gabelle, e stenditore degli editti ed ordinazioni che pubblicava a reggimento della sua Signoria di Musso. Uno sciagurato accidente l'aveva fatto assentare dalla sala della Cancelleria del Castello, per seguir Gabriele, e per ciò era venuto seco lui fatto prigione dai Ducali, e seco lui da Falco liberato. Nomavasi desso Maestro Lucio Tanaglia, era d'ordinaria statura e sottile della persona; moveva due occhi bigi ma vivi; aveva guancie incavate e pallide, sul mento e sul labbro portava una barbetta a foggia di fiocco, e due mustacchi poveri di peli, che così voleva la costumanza; la capigliatura liscia e compatta formavagli una linea regolare intorno al capo. Il suo vestito constava d'una giubba di nero saio, abbottonato dalla cintura alla sommità del petto, di calzoni parimenti neri, calze cinericcie, e scarpe quadrate alla punta; aveva pure manichini e collare di tela di Fiandra trapunta; ma questi, ancor più che il restante del suo abbigliamento, erano scomposti per l'acqua e lordi in più luoghi di fango.
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