Falco andava col pensiero più minutamente percorrendo gli inceppamenti e i legami di cui s'era lasciato cingere coll'essersi fatto soggetto a non agire che dietro l'altrui comando: ciò gli suscitava in cuore certa qual diffidenza verso il Castellano e un'ira secreta contro se stesso per non aver saputo rigettare il titolo a lui conferito; e però non voleva aumentarsi le brighe ed accrescere la propria schiavitù col venirsi a porre interamente sotto la mano di quello cui dovea ubbidire. La sua capanna, al cui soggiorno aveva poche ore prime rinunciato volonteroso, gli ritornò alla mente come la più cara e gradita dimora del mondo, e conobbe essergli assolutamente necessario il conservarsela. In tale disposizione d'animo l'insistente consigliare di Gabriele lo rese insofferente, per cui si rivolse a lui con alterato viso ed aspra voce dicendo: "Voi non contate ancora sufficienti anni per conoscere quanto costi ad un uomo l'abbandonare quel tetto sotto cui riposò le cento notti unico padrone di se stesso e di sue azioni, per trapiantarsi in una terra nella quale un altro è Signore di lui e d'ogni sua cosa: l'orso stesso muore il verno di fame sui gioghi del Legnone anzi che scendere al piano a farsi incatenare. Vi basti che ogni opera mia sia d'ora in poi soggetta alla volontà del signor Castellano, e non vogliate che io ponga in suo potere tutto quanto m'appartiene, senza riserbarmi un solo asilo nelle mie montagne ove ritornare ad intervallo a ristorarmi dalle fatiche come sono da molti anni abituato.
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