Io gli resi grazie de' suoi consigli, e gli chiesi nello stesso tempo mi permettesse di porgli innanzi agli occhi che il tempo stringeva, che le cose potevano da un istante all'altro cangiare d'aspetto; che se il Re di Francia trascurava una circostanza e un momento così propizii onde ricuperare il suo bel Ducato d'Italia, forse non se ne sarebbero più mai presentati di così favorevoli; che l'offrirglisi un ampio paese nel Ducato stesso con terre, fortezze e soldati, tutto per lui avrebbe d'un tratto disanimato il nemico e fatto solido appoggio alla sua stabile dominazione di là dai monti; che dovesse inoltre riflettere quanto un tale avvenimento sarebbe andato a sangue alla Corte di Roma, che mostrava ancora fumanti le piaghe apertele dall'orrendo saccheggio fatto dalle truppe Imperiali guidate dal traditore Contestabile di Borbone; che considerasse quanto Papa Clemente VII, il quale non poteva dimenticare la propria prigionia in Castello Sant'Angelo, dovesse desiderare di vedere depressa la possanza di Carlo che si va ogni giorno ingigantendo, e come a tal brama concorressero colla Repubblica di Venezia gli Estensi e lo Stato Genovese.
Parve che tali mie parole colpissero l'animo del Cardinale: egli rimase varii minuti silenzioso e pensante, indi mi disse che prima di parlarne al Re era d'uopo comunicasse i miei progetti al Cardinale di Tournon, e m'avrebbe poscia indicato come dovessi contenermi. Volle frattanto ospitassi in un suo palagio di Parigi, da dove fecemi più volte cavalcare a Fontanablò, ove ebbi conferenza coi due Cardinali, con Claudio di Guisa, con Montmorancì, con Oliviero d'Epinais, col Sir de la Trimouille e varii altri de' più cospicui Duchi, Marescialli, Scudieri di Re Francesco, tutti al par di lui valorosi e gentili cavalieri.
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