Intanto da tutti gli spaldi s'era accuratamente guardato se vi fossero nemici sotto le mura o nei luoghi e pei monti vicini, s'era osservato se vi stessero scale od insidie presso il Castello, ma non s'era veduto ombra d'uomo: tutto era tranquillo, nè udivasi quasi un movere di foglia. Fatte per cị ricollocare le guardie ai primi posti, i Capitani s'affrettarono parte intorno al Cancelliere, e parte presso Gabriele onde udire come mai fosse nato quell'avvenimento. Ma Maestro Tanaglia, pallido, tremante e contraffatto, piegando il capo alternativamente ed allargando le braccia, non sapeva altro dire con affannosa voce se non che "Le capitano a me... sono pure un uomo sfortunato!... tre Milanesi costringermi a forza ad essere complice in un fatto simile!... a rischio... oh! ma, mi credano, io sono innocente... povero Tanaglia! povero Tanaglia!" Gabriele all'incontro, non agitato ed alterato se non quanto l'ira e la foga del sostenuto combattimento necessariamente il volevano, appoggiato alla propria spada, narṛ succintamente tutto l'occorso, dicendo peṛ d'ignorare affatto, come era il vero, chi si fossero quei tre, come penetrati nel Castello, e in qual modo colà venuti. I Capitani rimasero maravigliati e confusi a quella narrazione al pari di lui. Il Pellicione comanḍ ad alcuni soldati che prendessero sulle spalle quell'ucciso e quello che giaceva tramortito, e giù se li portassero dal baluardo recandoli nella sala della Quistione, che era dove si giudicavano dal Castellano tutti i rei di gravi delitti, ed ordiṇ che quivi pure si conducesse quel terzo preso vivo e sano.
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