La sala della Quistione era un'ampia stanza quadrangolare, la cui vôlta era sostenuta da grossi e ruvidi pilastri; non avea finestre; solo vi si vedevano due porte, l'una che da uno stretto corritoio metteva quivi entro, l'altra, chiusa da grandi spranghe di ferro, che dava ingresso ad un carcere sotterraneo. Gli arnesi ch'ivi si trovavano erano una gran lampada che pendeva da un anello fitto nella volta, un tavolo, una sedia a bracciuoli, altri sedili grossolanamente tagliati, un gran braciere di ferro per accendervi carboni, catene, corde, randelli e cavalietti, stromenti tutti che s'usavano per tormentare.
Stesi a terra l'uno accanto all'altro il ferito e l'ucciso, e messo l'altro in salda annodatura, venne accesa la lampada e collocato sul tavoliere l'occorrente per iscrivere, al che fare s'accinse il Mandello, siccome l'uno dei più istrutti; quindi il Castellano, assisosi in mezzo a' suoi, si fece condurre innanzi quello incatenato, e misuratolo dello sguardo dalla fronte ai piedi, senza che desso mutasse punto di suo audace e feroce portamento, gli domandò con voce severa: "Chi sei?" ed ei rispose: Sono Marco Spinaferro. - - Di qual luogo? - - Milano. - - Quando venisti in questo Castello? - Ci sono entrato ieri col seguito di quei signori (ed accennò Volfango e Agosto Medici) - - Con chi eri tu? - - Con Ambrosio Bina e Antoniotto Gorano./i> - - Sono quei due colà giacenti? - - Essi stessi. - - Per qual causa sei qui venuto? - - Per ucciderti", esclamò con tuono più fermo e con un lampo di rabbia e di minaccia in volto: tutti fremettero di sdegno, ma il Castellano freddamente proseguì: "Chi t'ha mandato?
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