Tanaglia già più morto che vivo tentò ogni mezzo di persuasione per farli desistere da quell'impresa, ma strascinato a forza e sempre colle punte alla persona dovette discendere, passare lungo il porticato del cortile, ove sperò invano d'incontrare soldati, e gli fu forza salire dalla torre al baluardo, ove quanto sia avvenuto è già noto ai nostri lettori.
Nel tempo che Gian Giacomo ed i suoi Capitani udivano con sorpresa ed isdegno la narrazione delle particolarità d'un sì ardito ed iniquo attentato d'assassinio, cui il truce viso, l'audacia e la costanza di Spinaferro nel tacerne tra i più crudeli dolori la vera cagione motrice, davano aspetto d'un fatto straordinario d'alto ed importante interesse, gli sgherri che stavano d'intorno ad Ambrogio Bina, che il colpo dato dal Pellicione aveva lasciato per lungo tempo privo de' sensi, annunziarono che andava riprendendone l'uso e che proferiva chiare parole. Sperarono tutti che costui, siccome affievolito del corpo, il sarebbe stato anche dello spirito, nè avrebbe avuta la forza e l'ostinazione del silenzio di Spinaferro, ma svelerebbe l'origine, la causa e gli ordinatori di quel misfatto che ad ognuno stava sì a cuore il conoscere. Non potendosi però Bina sollevare da terra, s'alzò il Castellano e gli altri seco, e gli si portarono d'intorno.
Interrogato del nome suo e dei fatti già esposti, rispose conformemente al compagno; ma quando si venne al chiedergli di palesare da chi s'avessero avuto il comando di recarsi colà per torre la vita al Medici, tremò, si confuse e tacque, Gian Giacomo, preso da estrema rabbia, ordinò gli si strappassero le carni con ferri roventi se puntigliavasi più oltre a tacere quel secreto: ad un tratto ardenti carboni rosseggiarono nel braciere, entro cui vennero collocati bidenti uncinati di ferro: si denudarono al Bina il petto e le spalle, e due sgherri gli si accostarono scuotendo colla destra i grafii arroventati.
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