CAPITOLO DECIMOTERZO.
Flebil vista a mirarsiSulla terra stillar vile e negletto
Il tronco, onde Ellesponto anco paventa:
Atro il bel volto e sparsiI crin fra il sangue, e del feroce aspetto
La bella luce impallidita e spenta!
CHIABRERA, Ode in morte di Astore Baglione.
Gian Giacomo Medici aveva riportata una nuova vittoria che poteva riuscire terminativa delle contese se avesse avuto soldati in sufficiente numero da potere conseguire tutti i vantaggi a cui apriva il campo. Venuto colle navi a Lecco, seppe che il nemico erasi già impossessato della prossima terra di Malgrate; prese quindi i necessarii concerti col capitano Alvarez Carazon che comandava il suo presidio di Lecco, ed il secondo mattino da che quivi era giunto s'accostò coi legni a Malgrate, ed assalì quel borgo furiosamente vincendo ogni resistenza a lui opposta dai Ducali. Ricciardo Acursio capitano di questi sostenne con ogni sua possa il combattimento per mantenersi in quella posizione, nutrendo sempre la speranza che fosse da un istante all'altro per sopraggiungere il Vestarino o dal lago o da terra a recargli soccorso colle sue squadre. Ma questo condottiero Ducale avendo tentato invano, come abbiamo narrato, di impadronirsi di Bellaggio occupato dai Mussiani, dai quali anzi venne respinto, non osò nè credette prudente oltrepassare quel punto ed entrare nel lago di Lecco; per cui l'Acursio rimasto solo colà, assalito anche di fianco dal Catalano colla guarnigione di Lecco, fu forzato, dopo grave perdita, a darsi colle sue genti a vergognosa fuga.
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