De' suoi capitani, Mandello era ferito, il Negri ucciso, e il Matto che aveva condotta la Borbota al lido di Mandello, colto nel retrocedere da una palla di bombarda in una coscia, era spirante. La squadra capitanata da Pirro Rumo, meno guasta e con minor numero di morti e di feriti, non avendo potuto mai oltrepassare la punta di Mandello per unirsi al Castellano, fu costretta a ritornare a Lecco, ove dovette rendersi prigioniera all'Acursio, che si era impadronito di Malgrate, del Ponte sull'Adda, del Porto e di tutta Lecco, eccetto il Castello che aveva però già circondato di numerosa artiglieria, e di cui breve poteva essere la resistenza.
CAPITOLO DECIMOQUARTO
In cento partiGli aspri monton colla ferrata fronte
Urtan, doppiando i colpi, il saldo muro,
E ne tremano i boschi, e n'ha spaventoL'onda del Lario e il monte alto ne geme.
E di tant'armi il fulminar non lasciaLe conquassate torri e i merli e i tetti,
I cari tetti che già volti in fiammePiomban qua e là con subita ruina.
GASTONE DELLA TORRE DI REZZONICO,
L'eccidio di Como.
Era notte: il Castellano e il suo più fido amico il Pellicione stavano in una stanza appartata del Forte entrambi muti e pensosi seduti ai lati opposti d'una massiccia tavola su cui ardeva una lampada infissa in un lucerniere di bronzo. Medici teneva incrocicchiate le braccia, socchiuse le ciglia e fiso lo sguardo nella parete di contro: portava il corsale di ferro e il rimanente dell'abito stretto al corpo; il suo capo era scoperto, per cui il lume rischiarava liberamente di profilo il suo volto, a cui i neri ricciuti capelli, il pelo del mento e dei mustacchi davano un carattere più deciso e severo.
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