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      Ogni atto della nostra volontà è sempre proporzionato alla forza della impressione sensibile, che ne è la sorgente; e la sensibilità di ogni uomo è limitata. Dunque l'impressione del dolore può crescere a segno, che occupandola tutta, non lasci alcuna libertà al torturato, che di scegliere la strada più corta per il momento presente, onde sottrarsi di pena. Allora la risposta del reo è così necessaria, come le impressioni del fuoco o dell'acqua. Allora l'innocente sensibile si chiamerà reo, quando egli creda con ciò di far [pag. 40] cessare il tormento. Ogni differenza tra essi sparisce per quel mezzo medesimo, che si pretende impiegato per ritrovarla. L'esito dunque della Tortura è un affare di temperamento, e di calcolo, che varia in ciascun uomo in proporzione della sua robustezza, e della sua sensibilità; tanto che con questo metodo un matematico scioglierebbe meglio, che un Giudice questo problema. Data la forza dei muscoli, e la sensibilità delle fibre d'un innocente trovare il grado di dolore, che lo farà confessar reo di un dato delitto.
      L'esame di un reo è fatto per conoscere la verità, ma se questa verità difficilmente scopresi all'aria, al gesto, alla fisonomia d'un uomo tranquillo, molto meno scoprirassi in un uomo in cui le convulsioni del dolore alterano tutti i segni, per i quali dal volto della maggior parte degli uomini traspira qualche volta, loro malgrado, la verità? Ogni azione violenta confonde, e fa sparire le minime differenze degli oggetti, per cui si distingue talora il vero dal falso.


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Dei delitti e delle pene
di Cesare Beccaria
1764 pagine 84

   





Tortura Giudice