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      Uomini ricchi, e potenti, che non si sono mai degnati visitare le squallide capanne del povero, che non hanno mai diviso un ammuffito pane fralle innocenti grida degli affamati figliuoli, e le lagrime della moglie. Rompiamo questi legami fatali alla maggior parte ed utili ad alcuni pochi ed indolenti tiranni: attacchiamo l'ingiustizia nella sua sorgente: Ritornerò nel mio stato d'indipendenza naturale, vivrò libero, e felice per qualche tempo coi frutti del mio coraggio, e della mia industria, verrà forse il giorno del dolore, e del pentimento, ma sarà breve questo tempo, ed avrò un giorno di stento per molti anni di libertà, e di piaceri. Re di un piccol numero, correggerò gli errori della fortuna, e vedrò questi tiranni impallidire, e palpitare alla presenza di colui, che con un insultante fasto posponevano ai loro cavalli, ai loro cani. Allora la Religione si affaccia alla mente dello scellerato, che abusa [pag. 66] di tutto, e presentandoli un facile pentimento ed una quasi certezza di eterna felicità, diminuisce di molto l'orrore di quell'ultima Tragedia.
      Ma colui, che si vede avanti agli occhi un gran numero d'anni, o anche tutto il corso della vita, che passerebbe nella schiavitù, e nel dolore in faccia a' suoi concittadini, co' quali vive libero, e sociabile, schiavo di quelle Leggi, dalle quali era protetto, fa un utile paragone di tutto ciò coll'incertezza dell'esito de' suoi delitti, colla brevità del tempo, di cui ne goderebbe i frutti. L'esempio continuo di quelli, che attualmente vede vittime della propria inavvedutezza gli fa una impressione assai più forte, che non lo spettacolo di un supplicio, che lo indurisce più che non lo corregge.


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Dei delitti e delle pene
di Cesare Beccaria
1764 pagine 84

   





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