Che debbono pensare gli uomini nel vedere i savj Magistrati, e i gravi Sacerdoti della Giustizia, che con indifferente tranquillità fanno strascinare con lento apparato un reo alla Morte, e mentre un misero spasima nelle ultime angosce, aspettando il colpo fatale, passa il Giudice con insensibile freddezza, e fors'anche con segreta compiacenza della propria [pag. 68] autorità, a gustare i comodi, e i piaceri della vita? Ah diranno essi, queste Leggi non sono, che i pretesti della forza, e le meditate, e crudeli formalità della Giustizia; non sono, che un linguaggio di convenzione, per immolarci con maggiore sicurezza, come vittime destinate in Sacrificio, all'Idolo insaziabile del dispotismo.
L'assassinio, che ci vien predicato come un terribile misfatto, lo veggiamo pure senza ripugnanza, e senza furore adoperato. Prevalghiamoci dell'esempio. Ci pareva la Morte violenta una scena terribile nelle descrizioni, che ci venivan fatte, ma lo vediamo un affare di momento. Quanto lo sarà meno in chi, non aspettandola, ne risparmia quasi tutto ciò che ha di doloroso. Tali sono i funesti paralogismi, che se non con chiarezza, confusamente almeno, fanno gli uomini disposti ai delitti, nei quali, come abbiam veduto, l'abuso della Religione può più che la Religione medesima.
Se mi si opponesse l'esempio di quasi tutt'i secoli, e di quasi tutte le Nazioni, che hanno data pena di Morte ad alcuni delitti, io risponderò, che egli si annienta in faccia alla verità, contro della quale non v'ha prescrizione; che la Storia degli uomini ci dà l'idea di un immenso pelago di errori, fra i quali poche, e confuse, e a grandi intervalli distanti, verità soprannuotano.
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