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      Un uomo accusato di un delitto, carcerato, ed assoluto non dovrebbe portar seco nota alcuna d'infamia. Quanti romani accusati di gravissimi delitti, trovati poi innocenti, furono dal popolo riveriti, e di Magistrature onorati; ma per qual ragione è così diverso ai tempi nostri l'esito di un innocente? Perchè sembra, che nel presente sistema criminale, secondo l'opinione degli uomini, prevalga l'idea della forza e della prepotenza, a quella della giustizia; perchè si gettano confusi nella stessa caverna gli accusati, e i convinti; perchè la prigione è piuttosto un supplicio, che una custodia del reo. Durano ancora nel Popolo, ne' costumi, e nelle [pag. 72] Leggi, sempre di più di un secolo inferiori in bontà ai lumi attuali di una Nazione, durano ancora le barbare impressioni, e le feroci idee dei settentrionali Cacciatori padri nostri.
      Alcuni hanno sostenuto, che in qualunque luogo commettasi un delitto, cioè un'azione contraria alle Leggi, possa essere punito; quasi che il carattere di suddito fosse indelebile, cioè sinonimo, anzi peggiore di quello di schiavo; quasi, che uno potesse esser suddito di un dominio, ed abitare in un altro, e che le di lui azioni potessero senza contradizione esser subordinate a due Sovrani, e a due Codici sovente contradittori. Alcuni credono parimente, che un'azione crudele fatta, per esempio, a Costantinopoli, possa esser punita a Parigi, per l'astratta ragione, che chi offende l'umanità, merita di avere tutta l'umanità inimica, e l'esecrazione universale; quasi che i Giudici vindici fossero della sensibilità degli uomini, e non piuttosto dei patti, che gli legano tra di loro.


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Dei delitti e delle pene
di Cesare Beccaria
1764 pagine 84

   





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