La maggior parte della popolazione della campagna, non prendeva parte, è vero, a tali disordini, ma non osava del pari impedirli non che resistervi: chè immutabile detto del commissario e suoi satelliti si era «ritornerà ben presto Radetzky; guardatevi dal dubitarne: nè lui nè i suoi saranno più cacciati da questo paese; al suo ritorno sarà fatta giustizia: quelli che a lui saranno rimasti fedeli avranno in ricompensa la parte tolta ai cattivi, i colpevoli verranno inchiodati al battente del loro uscio. Vi serva la lezione.» Il povero paesano interdetto si ritirava, temeva non per sè soltanto, ma anche per chi sapeva compromesso.
Il male proseguì. Fra gli incendiari caduti nelle mani della gendarmeria dichiararono molti di aver ricevuta una somma al loro sortire di Mantova da quell'ufficio di polizia, per venir a seminar discordie fra i lombardi. La giustizia non iniziò alcun atto contro costoro: molti dopo pochi giorni furono rimessi in libertà.
Evvi a poche miglia da Milano una polveriera detta di Lambrate. Al principio di maggio nessuno avria sognata possibile una invasione austriaca, eppur una mattina d'improvviso si sente che alla notte alcuni austriaci travestiti avevano assalita la polveriera di Lambrate. Chi li aveva guidati? Come eransi avanzati sino alle porte di Milano, e come non si aveva avuto sentore del loro passaggio? Questo fu sempre mistero: lo sprezzante silenzio del direttore della polizia lo rese ancor più inesplicabile. Un altro giorno al battere della generale, la guardia nazionale accorreva a Porta Nuova alla casa di forza.
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