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      Collegno gli succedeva: chiamò agli affari Perrone, uomo del quale tutta l'armata ebbe a lagnarsi.
      Nè Collegno, nè il generale in capo Teodoro Lecchi, vecchio generale sotto il regno italico, ebbero la forza di metter fine a quei disordini, che il pubblico indignavano contro il ministero della guerra.
      Era capo cassiere un vecchio commerciante conosciuto per quattro fraudolosi fallimenti: per le sue mani passar dovevano tutte le somme a disposizione del Ministero. L'armata Lombarda, ed i corpi dei volontari di abiti - di scarpe - di mantelli - d'ogni oggetto di prima necessità mancavano; per deficienza di dinaro l'armamento non avanzava: e per tanto tutte le rendite delle più agiate famiglie nelle pubbliche casse si versavano. Non era discorso che di sempre nuovi furti, da tale o tale altro membro di quella amministrazione commessi. Così svanire doveva tutta quella fiducia, che il popolo aveva dapprima nel suo governo riposta.
      Il popolo non lasciava occasione, e d'ogni mezzo si serviva, per scongiurare il governo a scolpare, o far giustizia dei suoi agenti se rei: «Voi non volete, gli si diceva, che ricorrere ai mezzi confidenziali, per assicurare il vostro potere: voi non aprite, che dei prestiti volontari: ebbene, sappiate rendervi degni di questa fiducia del popolo, senza la quale voi perirete». Ma il Governo non voleva comprendere un tal linguaggio: metteva un puntiglio d'onore nel non far nulla, che guadagnar gli potesse la pubblica opinione. Intanto la popolazione esitava: e se il danaro dato alla causa dell'Indipendenza fosse effettivamente impiegato a pro della patria dimandava, le prove ne attendeva, fossero pur favorevoli o contrarie: ma il tempo scorreva.


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L'Italia e la rivoluzione italiana
di Cristina di Belgioioso
Remo Sandron
1904 pagine 169

   





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