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      Nella guerra di Spagna il buon diritto sostenne e fama s'acquistò di bravo. Cessata la proscrizione delle idee liberali in Italia, Durando rimpatriò: ogni posizione, che esser dubbia potesse, rifiutò: visse modestamente in Roma povero, ma onorato, godendo di quella stima, che solo è frutto d'una vita senza macchie e pei suoi non ignoti talenti considerato. Quando la Lombardia lo seppe comandante le truppe della Santa Sede, credette poter contare sulla cooperazione d'un amico fedele e la fino allora abbandonata Venezia si tenne per salva volgendo lo sguardo all'amica Roma.
      Durando era a Ferrara: le sue truppe disposte in riva al Po, pressavanlo a varcarlo. Sempre scuse novelle protestò e novelli pretesti inventò. Oggi aspettava rinforzi, ordini domani: ma nè ordini, nè rinforzi mai comparivano. E ciò non pertanto in suo proclama si era pur detto «mandato da Pio IX a far la guerra - a marciare su l'Austriaco». Lombardia e Venezia tenevan su lui fiso lo sguardo: dava di che pensare una sì strana inerzia in chi tanto faceva di sè sperare. La lentezza di Durundo era scusa a Carlo Alberto, che sue operazioni militari temporeggiava. Arrivò in questo frattempo in Milano il marchese Rosalez aiutante di campo di Durando: fu svelato finalmente il mistero. Mancava Durando della somma sufficiente per equipaggiare la truppa: dimandava danaro al Governo Provvisorio e questi lo accordò senza ritardo. Partiva Rosalez gonfio il cuore di liete speranze, e di rientrare ben presto in Milano al fianco del vittorioso suo generale si riprometteva.


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L'Italia e la rivoluzione italiana
di Cristina di Belgioioso
Remo Sandron
1904 pagine 169

   





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