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      Erasi riservato il generale di abbandonar la città con tutti i suoi soldati, e con quelli fra i cittadini, che avriano voluto seguirlo: con armi e bagaglio sortir dovesse: promettendo per sè e per le sue truppe non avrebbero prese le armi contro l'Austriaco per tre mesi. Eravamo allora ai primi del mese di giugno - i tre mesi sono scorsi.
      Parte della popolazione seguì il generale Durando, e ad onta della convenzione non ebbe vergogna l'Austriaco di insultare e maltrattare quegli fra i cittadini, che ultimi abbandonavano il patrio tetto. L'armata romana aveva presa la strada di Ferrara: tutto era finito. Le truppe Piemontesi arrivavano intanto sotto Verona. Il giallo ed il nero sventolava su quelle mura, Vicenza era perduta e l'armata austriaca trionfante entrata in Verona. Perchè tanta lentezza nella marcia delle truppe Piemontesi? Risposero i capi, che i soldati erano stanchi, e che d'altronde s'era fatto calcolo della parola di Durando che potesse resistere sei o sette giorni ancora.
      Io racconto e non commento. Mi si permetta però di aggiungere, che di mia persuasione fui sempre favorevole al generale Durando. Non potrei trovare una bastevole giustificazione per lui, quella di certi ordini segreti dati in simili circostanze non parendomi sufficiente. Per quanto poco sieno favorevoli le apparenze pel capo dell'armata romana, per quanto tristi gli effetti di sua condotta:, io devo dichiarare di aver personalmente conosciuto Durando, e che sempre lo credetti uomo di senno e d'onore: amico sincero del suo paese: incapace d'una bassezza, parvemi infine uno di quei tali uomini, nei quali tranquilli si fida nei momenti i più difficili della vita.


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L'Italia e la rivoluzione italiana
di Cristina di Belgioioso
Remo Sandron
1904 pagine 169

   





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