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      Di lì, la querela cominciò. Con sdegno rispose il re: mandò fuori le truppe: e pose il suo palazzo in istato di difesa. Il popolo fece le barricate: nè lui nè i soldati a conseguenze sì serie da tali preparativi arguivano. Le basi di un amichevole componimento erano già accettate, quando un colpo di fucile, non si sa di dove partito, andò a colpire uno svizzero. La vendetta reale non ebbe più freno: furono rivocate le truppe. Il generale Pepe tentò invano di rattenere i suoi soldati sul teatro della guerra: partirono i battaglioni e restò solo con qualche legione di volontari: eppure su questi doveva contare.
      Napoli aveva mandate quattro legioni di volontari. Un terzo di essi ritornarono dicendo ai loro compatriotti, che si preparavano a partire per la Lombardia: «I Lombardi non vogliono di noi; e perchè soccorrerli contro lor voglia?» Tali rimproveri, in parte falsi, non erano del tutto mal fondati, ma non fu la popolazione milanese, che rimandò i soldati Napolitani. Essa gli accolse come fratelli, le famiglie avevano loro aperte le porte: era il Governo Provvisorio, che si studiava stancarli ed estinguere quel sacro fuoco, che sì gli animava. Si minacciavan delle pene dei refrattari coloro, che arrivati in mal stato di salute, chiedevano qualche giorno per risanare: d'indelicatezza si accusava, chi dimandava il soldo: quelli che volevan comandanti di loro confidenza ne avevano rimproveri come insubordinati: quelli alfine, che desideravano entrare nelle truppe di linea, per la loro incostanza e leggerezza a dito si mostravano da chi ne era capo.


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L'Italia e la rivoluzione italiana
di Cristina di Belgioioso
Remo Sandron
1904 pagine 169

   





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