Posta francamente la quistione, meglio non valeva offrire ai Lombardi libera scelta fra repubblica, e monarchia? Senza dubbio era questo l'unico mezzo a scoprire, quanto fossero in minor numero i repubblicani.
Alcuni dei membri del governo provvisorio vennero al re, apportatori del risultato dello spoglio dei registri, a prestargli l'omaggio dei nuovi Stati. Carlo Alberto freddo, poco curante loro si mostrò: disse, spettare alla Camera di Torino il decidere definitivamente su tale aumento di territorio. I deputati partirono per Torino: là non trovarono accoglienza migliore, nè quale aspettata si avrebbero. La camarilla di quella corte vedeva con dispiacere l'unione di una provincia, nella cui popolazione, per costumi ed abitudini eminentemente democratica, regnava lo spirito repubblicano. Nella clausola inserita dai milanesi nel loro atto di fusione, in forza della quale un'assemblea: costituente doveva esser convocata, per determinare i rapporti delle provincie fra loro, e del popolo col potere, la nobiltà piemontese volle vedervi un tranello, una riserva a favore della repubblica. Che la nuova costituente non volesse cangiar la sede del potere si temeva. Non mancarono gli avversi all'Italia di secondare un tal sospetto: crocchi scandalosi si formarono; l'opinione, già divulgata in Francia circa alle nostre discordie municipali, si confermò.
La nuova delle ostili dimostrazioni suscitate in Torino dalla proposta fusione non impressionò gran fatto il popolo milanese; i suoi deputati accettavano una menda: «era proibito alla futura costituente porre in quistione la monarchia costituzionale rappresentata, personificata in un principe della casa di Savoia: Torino come capitale conservar doveva integri i suoi privilegi»: per tal concessione ebbe fine ogni disputa.
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