Cominciò allora un ben meritato elogio delle sue truppe. «I poveri soldati son desolati per questa ritirata, mi disse, e così parlando delle grosse lagrime bagnavano quelle dimagrite guance bronzite dal sole. Di questa ritirata diss'io? la è fuga, che dovete chiamarla. Sì, madama, riprese con voce di amaro sdegno, già da otto giorni noi fuggiamo ignominiosamente, senza saperne il perchè: mi disse che lord Abercombry era al campo di Radetzky, e, che, se ottenuto non avesse l'armistizio, si sarebbero a Milano decise le sorti d'Italia(20).
Ritornai per la strada istessa: cercai calmare quella gente: li persuasi, che nulla avevan a temere sin che non vedessero l'armata piemontese ritirarsi sotto le mura di Milano. Li rassicurai: mi promisero aspettarieno il passaggio dell'esercito per seguirlo, e rifugiarsi in Milano. Il comitato di difesa chiamava gli abitanti della campagna alla città, gli armati come guardie nazionali, venissero gli altri con i loro attrezzi rurali per lavorare alle fortificazioni, ed alle barricate.
Arrivai la sera istessa, 2 agosto, in Milano. All'indomani il re venne ad accamparsi colla sua armata, forte di 50 nulla uomini, fuori di Porta Romana. Falliti gli sforzi di lord Abercombry, doveva continuare senza interruzione la guerra. Un ufficiale del reggimento guardie mi diede allora i seguenti dettagli sull'ultimo fatto d'armi, dopo del quale la marcia dell'armata non era più stata che una fuga inconcepibile. Il 25 luglio dovevano le truppe tenersi pronte sin dal mattino: si lasciarono coll'arme in spalla sino alle cinque della sera sotto la sferza di un sole canicolare: si diede finalmente il comando dell'attacco: i piemontesi avanzano senza ordine, come di solito, piombano sull'inimico: dopo rapido combattimento a voltar le spalle lo astringono, lo inseguono: la notte ne fa perder le tracce: si fermano ad aspettar gli ordini, che arrivano allo spuntar del giorno.
| |
Abercombry Radetzky Milano Italia Milano Milano Milano Porta Romana Abercombry
|