Attentamente mi ascoltò il segretario: che effettivamente era venuto qualcuno dire al re che il popolo di Milano non voleva battersi; ma che presto saria stato facile il convincersi del chi aveva ragione, mi rispose: il re voler difendere Milano, e lo difenderà sino agli estremi: non è più lecito il dubbio dal momento che preferito aveva portarsi sotto le sue mura, anziché varcare il Ticino. Mi ritirai pregandolo di voler per me congratularsene con Carlo Alberto per la presa risoluzione: gli dissi, che dal persistere in essa dipendeva la pubblica tranquillità.
Per ordine del comitato di difesa tutto quel giorno s'era speso in vettovagliare Milano: s'erano introdotte munizioni di guerra, uomini d'arme e di lavoro v'erano chiamati. Le guardie nazionali di Monza, di Como, e di Varese eran già arrivate; quei delle montagne stavano pronti per venire a nostro soccorso: i paesani dei vicini villaggi accorrevano in massa per dar mano alle fortificazioni e ripari, che rapidamente si costruivano. La vasta piazza d'armi, nel cui mezzo sorge il Castello, pareva lui campo trincerato, tagliato da fossi - da ridotti - da palizzate. S'erano ridotti i bastioni per sostenere l'assalto e cacciar il nemico: tagliati gli alberi che abbellivano il passeggio: fatte delle feritoie per approntarvi i cannoni: le case poste in istato di difesa: una forza imponente guardava i nostri principali edifici. Le sale dei palazzi Borromeo e Litta erano ripiene di palle e di bombe: vuotate le polveriere site a poca distanza della città, si erano provvisti i magazzini ed i depositi di Milano.
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